INTRODUZIONE AL caffè. Breve storia della bevanda più amata dagli italiani
Per noi il caffè è uno splendido dono della natura e come tale va trattato e rispettato. Promuoviamo un consumo consapevole, lento ed etico, in cui il gusto sia la nostra guida alla scoperta delle caratteristiche positive e peculiari di questo seme.
Il caffè che noi conosciamo è il seme tostato di una pianta, la Coffea; esistono due specie principali di Coffea, Arabica e Canephora, meglio conosciuta come Robusta.
La specie maggiormente coltivata è l'Arabica perché ha generalmente una maggior piacevolezza al gusto. La Robusta ha una resa migliore ed è più resistente a malattie, pur avendo generalmente un sapore meno piacevole dell'arabica, se coltivata e lavorata bene può essere gradevole. Viene spesso usata miscelata all' Arabica, soprattutto nei blend nelle miscele tipicihe italianie, per conferire più corpo e un maggiore tasso di caffeina.
Mentre l'Arabica cresce bene generalmente ad altitudini elevate, la Robusta può essere coltivata al di sotto dei 1000 mt. La quota dove cresce la pianta ne influenza il tenore di caffeina, che infatti è un antiparassitario naturale. Entrambe queste specie di caffè, come anche le altre specie selvatiche non produttive a livello commerciale, crescono nella fascia compresa tra i due tropici.
Esistono molte varietà delle due specie, alcune più produttive, altre con caratteristiche organolettiche specifiche. Non tutte le varietà sono state catalogate e in alcuni paesi come l'Etiopia o il Perù vengono coltivate delle varietà eredi autoctone (Heirloom) che non hanno una classificazione ufficiale
La pianta di caffè è un arbusto dalle foglie verde scuro che produce fiori bianchi molto profumati, simili al gelsomino, che poi, dopo l'impollinazione, fruttificheranno, producendo ciliegie generalmente rosse.
Il loro raccolto avviene una o due volte l'anno (a seconda del Paese). La pianta del caffè non produce tutti i frutti tutti allo stesso tempo e questo rende complicata la raccolta. Per i caffè di alta qualità si sceglie di raccogliere solamente le drupe mature, a costo di ripassare più volte sulla stessa pianta.; Invece, per i caffè di qualità inferiore invece si scelgono solitamente metodi di raccolta meno selettivi, che includono quindi ciliege più o meno mature e spesso anche altre componenti come parti di foglie o di rami.
La raccolta è solo l'inizio del lavoro, infatti il caffè per essere consumato deve passare altre fasi di lavorazione. Anzitutto avviene una selezione delle drupe, per separare quelle mature e prive di difetti dalle altre, che non vengono mai sprecate, ma vanno a far parte dei lotti di caffè meno pregiati., Successivamente,poi a seconda del processo di lavorazione scelto, i caffè possono passare direttamente all'essicatura per il metodo naturale, al lavaggio più spolpatura ed essiccazione per la famiglia dei semi-lavati come pulped natural, honey o giling basah, oppure a lavaggio, spolpatura, fermentazione e lavaggio finale per il metodo lavato.
Ogni tipologia di lavorazione ha le sue caratteristiche positive e negative. La lavorazione influisce molto sul profilo sensoriale del caffè, è possibile che lo stesso raccolto venga trattato con diverse lavorazioni, esprimendo note e caratteristiche anche molto differenti.
Il metodo naturale è quello più semplice da realizzare, poiché non richiede consumo di acqua (cosa molto importante in alcuni Paesi del mondo). Tuttavia, se non curato a dovere può portare a delle fermentazioni sgradite, a muffe e ad altri difetti. I chicchi ottenuti con questo metodo hanno spesso una spiccata dolcezza.
Le ciliegie di caffè vengono mese ad asciugare intere su una superficie in piano, vengono girate spesso e selezionate. In alcuni casi questo processo può essere fatto all’interno di forni essiccatori, è molto più comune per i caffè commerciali.
Il metodo lavato invece è più stabile, rende il caffè più omogeneo ed è il metodo più sicuro a livello di resa. Di contro però consuma molta acqua, il che lo rende meno sostenibile e difficile da applicare in alcune situazioni. A livello sensoriale questo metodo esalta la brillantezza delle note acide del caffè.
Il Pulped Natural è un metodo comune in Brasile, necessita comunque di un passaggio in acqua ma è meno dispendioso del lavato. I chicchi prodotti hanno una buona dolcezza e sono meno soggetti ai difetti del naturale. Simili a questo metodo ci sono altri semi lavati con diverse percentuali di polpa, come l’honey o il giling basah.
Durante queste fasi di lavorazione, a volte vengono effettuate delle fermentazioni anaerobiche o di altro tipo che puntano a esaltare le note fruttate o speziate del caffè. Questi sono caffè che negli ultimi anni hanno riscosso molto successo.
Alla fine della lavorazione, il caffè viene fatto riposare per più di un mese, viene decorticato e passa una nuova selezione prima di essere confezionato per la spedizione. Anche in questo caso il caffè di qualità avrà un confezionamento più curato, con materiali che non permettono il passaggio dell'umidità (Grain Pro) e verrà spedito generalmente via nave fino ad arrivare da noi. I lotti più pregiati vengono anche messi sottovuoto e spediti via aerea.
Solo in questo momento il caffè diventa disponibile per il torrefattore che, nella maggior parte dei casi, lo comprerà dall'importatore.
II torrefattore sceglierà quali tipologie di caffè acquistare, spesso in base al prezzo, e creerà le sue ricette di tostatura e miscelazione, quelle che troppo spesso in Italia sono segrete, per cui il consumatore non ha idea di cosa stia bevendo.
In Italia esiste una consuetudine per cui il titolare di un bar non possiede le attrezzature necessarie per preparare il caffè, ma le ottiene in comodato d'uso dal torrefattore, che vincola così il bar che non potrà cambiare facilmente torrefazione.
Negli anni alcune aziende di caffè hanno anche iniziato a "regalare" altri elementi come le insegne, le tazzine, lo zucchero, diventando quasi una finanziaria che fa credito al bar e che poi si farà ripagare con la vendita del caffè. Questo fa sì che il titolare di un bar abbia molto poco controllo (qualora volesse e avesse le competenze per averlo) sul prodotto che riceve dal torrefattore.
Ovviamente l'azienda di caffè non è un ente benefico e necessita di rientrare delle spese sostenute in tempi brevi, anche a causa dell'alto turn over di questo settore. Si crea così un circolo vizioso, in cui chiunque apra un bar può farlo senza un grande investimento iniziale in attrezzature, che si farà dare dal torrefattore di turno, il quale legherà il cliente a un contratto che gli permetta di rientrare dei costi e d'iniziare a guadagnare in un tempo rapido.
Il prezzo della tazzina deve restare vicino all'euro, se non meno, e questo comprende i costi del caffè, i costi del comodato d'uso, vari costi accessori come energia elettrica, personale, e via dicendo, e il margine di guadagno, seppur ridotto, dell'esercente.
Il caffè che viene servito nella tazzina al bar dovrà per forza essere molto economico (a livello di caffè verde acquistato dal torrefattore) e di bassa qualità.
Siamo arrivati al punto in cui abbiamo parlato di costo della tazzina, ma il costo del caffè verde che il torrefattore acquista dagli importatori come viene stabilito? Com' è possibile che un prodotto che necessita di tutte queste lavorazioni, di un lungo viaggio per raggiungere il Paese di consumo, possa costare così poco?
In questo momento stiamo parlando di caffè commerciale o commodity coffee il cui prezzo viene stabilito tramite una quotazione in borsa. L'Arabica viene quotata sulla borsa di New York mentre la Robusta viene quotata a Londra. Ovviamente questa tipologia di contrattazione è incentrata su meccanismi di domanda e offerta e ha poco a che fare con il lavoro degli agricoltori.
Questa quotazione è sempre estremamente svantaggiosa per i produttori, che ricevono una fetta molto piccola del profitto generato dal caffè da loro prodotto, mentre diversi intermediari e le grandi industrie del caffè, collocate nei Paesi di consumo, trattengono per sé la maggior parte del profitto.
Dinamica non nuova. Il mercato globale del caffè è nato e si è sviluppato, infatti, in epoca coloniale, e i meccanismi, che ancora oggi lo regolano e che permettono a noi di pagare così poco un prodotto così complesso da produrre, sono basati sui rapporti di potere di quegli anni.
Un caffè che noi paghiamo 1€ al bar è possibile solo grazie al fatto di essere prodotto in Paesi del terzo mondo, dove il costo del lavoro è molto basso e dove ancora esistono sfruttamento del lavoro minorile e condizioni socio economiche molto diverse dalle nostre.
Una delle conseguenze del prezzo estremamente basso del caffè commodity è quella di ridurre la qualità del caffè commercializzato. I produttori infatti non possono permettersi di perdere neanche un chicco di caffè per poter rientrare dei costi produttivi. Vanno quindi a finire in vendita anche tutti i chicchi difettati trovati nelle varie fasi di selezione.
I difetti possono essere innumerevoli: muffe, chicchi mangiati dagli insetti, difetti dovuti a una cattiva gestione della pianta, elementi come foglie o ramoscelli strappati dalla pianta insieme alle ciliegie. Tutto questo materiale di scarto viene quindi venduto insieme al caffè e arriva fin da noi, dove il grande torrefattore commerciale troverà delle soluzioni per mistificare il gusto non gradevole del caffè difettato.
La soluzione preferita dall'industria caffeicola è quella di tostare molto il caffè, fino a bruciarlo, in modo da nascondere il sapore di marcio, muffa o altri sentori sgradevoli.
Negli anni questa pratica ha iniziato a diffondersi, così il consumatore si è abituato a bere caffè dal gusto estremamente amaro e bruciato, al punto da riconoscere in quel sapore, il gusto del caffè.
Il caffè Specialty esce da queste logiche commerciali e promuove un consumo più etico, a filiera tracciata, con caffè di altissima qualità, che grazie al prezzo più alto, riesce a ricompensare il produttore degli sforzi effettuati.
Bere un caffè migliore è anche una scelta di sostenibilità.
Il gusto e l'olfatto sono due sensi potentissimi, sono legati alla parte più antica del nostro cervello, da loro dipendeva la nostra sopravvivenza. Istintivamente sappiamo che il gusto eccessivamente amaro farà male alla nostra salute e lo rifuggiamo.
Anni di caffè eccessivamente bruciati, estratti male e magari con attrezzatura poco pulita, ci hanno però abituati a pensare che il caffè debba essere un concentrato di amarezza e sgradevolezza e lo accettiamo come dato di fatto, anzi come caratteristica da ricercare.
Ci hanno portato a guardare come segno di qualità altri parametri, come la crema abbondante che riesce a sostenere il peso di una bustina di zucchero, e non ci chiediamo perché mai dovremmo aggiungere così tanto zucchero a una bevanda per renderla bevibile.
Questa tipologia di caffè è entrata talmente tanto nelle nostre vite che abbiamo addormentato il nostro istinto e accettiamo di buon grado qualcosa che in altri alimenti non vorremmo mai vedere, il bruciato. Mentre se ordiniamo una pizza e ci arriva con la crosta nera e bruciata la rimandiamo indietro, l'industria del caffè ci ha condizionati a tal punto che non ci poniamo la questione neanche di fronte a chicchi di caffè neri, oleosi e che hanno odore di rancido.
Il caffè di qualità si distingue bene con tutti i sensi. Il colore che deve essere marrone e, non nero. Il profumo che deve essere piacevole, fragrante. Il gusto deve essere bilanciato in dolcezza, acidità e amarezza.
In un caffè coltivato, tostato ed estratto a dovere, è possibile percepire una gamma di note che spaziano dal cioccolato e il caramello a note fruttate e floreali, può avere un'acidità più o meno spiccata, come quella citrica degli agrumi o malica della mela.
Meritiamo di bere un caffè migliore e le persone che lo producono meritano di veder riconosciuto il valore del loro lavoro.
Qui sotto ho inserito la Ruota dei Sapori della Specialty Coffee Association, uno strumento utile per capire quante sfaccettature può avere il caffè e quanti sapori ci perdiamo se non scegliamo la qualità.